Otto anni fa fu l’ultimo escluso da Andrea Anastasi dalla squadra per il Mondiale. Dopo un paio di settimane di “ballottaggio” e di grande lavoro in palestra il Nano (che nei prossimi giorni gli azzurri ritroveranno sulla loro strada alla guida del Belgio) come quarto martello scelse al suo posto Ivan Zaytsev e in una assolata mattinata mantovana Gabriele Maruotti prese i suoi borsoni e ripartì per tornare a casa. Otto anni sono un lungo periodo per un atleta e Gabriele li ha vissuti tra alti e bassi. Poi il tempo è stato galantuomo e un Mondiale in casa lo vivrà da protagonista. Intervistato da Leandro De Sanctis per il Corriere dello Sport, lo schiacciatore di Fregene ha raccontato una parte della sua storia, soprattutto la sua “resurrezione”: “C’era un’aspettativa gigantesca, per gli altri e per me stesso. Probabilmente non ero mai riuscito a rispettare ciò che ci si aspettava da me e negli anni questa cosa ha cominciato a pesare. E dopo l’anno di Perugia, vissi un’estate strana. Si erano sparse voci false sudi me, che se non avevo giocato c’erano dei motivi… Oltre al danno la beffa. Mi arrivò una proposta da Berlino, dissi no perché credevo che in Italia ci fosse ancora spazio per me. Invece non mi cercava nessuno. Fino a che rimase Latina, che fece la squadra dopo aver temuto di chiudere. Firmai per un anno solo, ma poi ho voluto restare altre due stagioni: non mi sentivo pronto per ripartire…” – cosa era accaduto lo spiega Maruotti – “… Ero caduto in un circolo vizioso incredbile, stavo per mollare la pallavolo ma sono rinato come l’araba fenice. Mi ha agevolato il fatto che mia moglie fa la psicologa e mi indirizzò verso questa esperienza che ora mi sento di consigliate a tutti. Durante l’Olimpiade di Rio, tra il primo e il secondo anno a Latina, ho lavorato con Susanna Bianchini perché avevo sentito l’esigenza di lavorane con me stesso. Lei non è una psicologa sportiva ma lo sport era parte marginale, lì c’era solo Gabriele… Mi sono ritrovato, ho potuto fare quello di cui avevo bisogno. In quel momento mi sono reso conto che il volley non l’avevo scelto, non avevo mai detto: ecco, questo è quello per cui vivo, prendere o lasciare. E davvero quello che voglio? Ho esplorato una parte di me e tornando a casa completavo il lavoro insieme con mia moglie. Ora posso dire di aver fatto bene a non smettere. Giocare è una mia scelta ed è una sfida, con me stesso e con tutto il mondo della pallavolo”. E adesso Gabriele è rinato come l’araba fenice ed è pronto a sfidare il mondo.
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