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Pallavolo #tonnocallipoHISTORY – Simone Rosalba a Vibo: il ritorno a casa del ragazzo di Calabria

Simone Rosalba, l’alfiere della pallavolo calabrese, che ha indossato la fascia di capitano della Tonno Callipo per due stagioni consecutive. Non due stagioni qualunque bensì le prime due in Serie A1.
Per lo schiacciatore, classe ’76, Vibo Valentia non fu solamente una tra le tante fermate del suo lungo percorso nel mondo del volley. Scese da un treno in piena corsa – dopo un mondiale vinto con la nazionale di Bebeto (1998), l’oro Europeo nel 1999 ed il bronzo olimpico a Sydney 2000 e quattro ori alla World League (1995, 1997, 1999 e 2000) – per approdare in Calabria. Fu una scelta dettata dal cuore. Si era messo in testa di voler contribuire attraverso le proprie imprese sportive a rafforzare l’immagine della sua terra condividendo in pieno il pensiero del presidente Pippo Callipo: “Doveva essere un’occasione per portare alla luce un altro volto del nostro territorio – spiega Rosalba – che poteva emergere anche a livello pallavolistico. Quindi ho deciso di tornare a casa”.
Un Rosalba appassionato e riflessivo si concede alla nostra richiesta di intervistarlo telefonicamente. Accarezza piacevolmente i suoi ricordi legati al periodo giallorosso ora che, dopo tanto girovagare, è tornato a Paola, la sua città d’origine, quasi concedendosi del tempo per riordinare i suoi pensieri. L’ex pupillo del maestro Julio Velasco ed elemento di spicco della leggendaria “Generazione dei fenomeni”, non tocca palla da circa sei anni e sembra apparentemente lontano dall’ambiente del volley, anche se continua ad essere un attento e qualificato osservatore.
Come nasce la scelta di approdare alla Tonno Callipo?
“La mia prima stagione a Vibo è stata una tra le più soddisfacenti della mia carriera. Facendo un passo indietro posso dire che quando mi sono ritrovato a valutare la proposta calabrese dovetti mettere in conto che si trattava di una società nuova, che praticamente partiva da zero. L’unica sicurezza era rappresentata dal tecnico Daniele Ricci che conoscevo molto bene e stimavo tanto. Mi affascinava il progetto ambizioso di un club calabrese che aveva fatto bene in A2 costruendosi negli anni con sacrificio e capacità. Allo stesso tempo il passaggio dalla A2 alla A1 non era una cosa semplice, soprattutto in quegli anni in cui il divario tecnico era molto pronunciato. Alla fine sono arrivato ad una conclusione azzardata che mi ha portato a vivere una delle migliori esperienze del mio percorso”.
Prima di fare ‘ritorno a casa’ eri stato per parecchio tempo fuori dai confini regionali giocando in piazze importanti come Ravenna, Macerata, Milano, Piacenza…
“Sì, sono andato via da Paola nel 1991 che avevo 15 anni e, dopo aver girato tutta la penisola, sono tornato in Calabria a distanza di quasi 14 anni”.
La tua storia a Vibo inizia nel 2004. Cosa ricordi?
“Ricordo tutto. Siamo partiti da outsider come una squadra che doveva salvarsi e già alla prima di Campionato ci misero di fronte la Sisley Treviso. Già in quell’occasione però facemmo capire a tutti che non era così facile venire a vincere a casa nostra. A quei tempi giocavamo a Catanzaro le nostre gare interne, perché il PalaValentia non era ancora pronto. Allenarsi nell’impianto di Vibo e poi andare a giocare in un altro posto non era proprio il massimo. Ciò per dire che di problemi all’inizio ne abbiamo avuti, molti dei quali nell’arco della stagione sono stati risolti. Vi assicuro che i sacrifici ci hanno aiutato: proprio quel doversi arrangiare ogni giorno, dover trovare la forza per cavarsela, ci ha reso quella squadra forte che eravamo, ci ha unito. Ricordo che siamo anche riusciti ad entrare incredibilmente in Coppa Italia. Ci siamo ritrovati a giocare contro Piacenza che allora era prima in classifica. Siamo partiti con l’idea di fare il nostro meglio ma convinti di prenderci una bastonata e ritornare a casa velocemente. Invece vincemmo noi e – sorride – gliela abbiamo data noi la bastonata. Poi in semifinale contro Verona, un’altra matricola ma meglio strutturata sulla carta. Abbiamo dimostrato di valere di più vincendo 3-0. Infine il sogno della finale contro la Sisley, a cui abbiamo dato comunque battaglia pur perdendo 3-0”.
E tra l’altro in quella finale persa sei stato votato Mvp…
“Esatto. Di questo sono felice e orgoglioso: è stato un riconoscimento inaspettato anche perché solitamente il migliore giocatore si sceglie nella squadra che vince il trofeo. Invece in quell’occasione hanno scelto me ed è stata una grande soddisfazione”.
Guardando al roster della tua prima stagione vibonese c’erano tra gli altri i calabresi Ferraro e Latelli e poi giocatori come Felizardo e Priddy. Che squadra era?
“Quella squadra era stata costruita con giocatori che avevano voglia di dimostrare il proprio valore per svariati motivi. Magari perché fino ad allora non avevano giocato molto oppure perché provenivano da retrocessioni con qualche squadra di A1, come ad esempio Sala e Sottile. Felizardo arrivava da perfetto sconosciuto. Priddy era già noto ma a quei tempi non era certo il giocatore che è diventato in seguito. Lo stesso Pampel era un opposto reduce da una discreta stagione in A2 e gli si dava la responsabilità di fare un campionato di A1. Insomma la squadra del primo anno era una scommessa per tutti che alla fine fu vinta da tutti. Sottile e Sala arrivarono ad indossare la maglia azzurra, Felizardo approdò nella Nazionale brasiliana. Anche Latelli e Ferraro hanno poi fatto un’ottima carriera in A1. L’impatto di quel campionato sul futuro professionale di ciascuno è stato più che positivo. Una stagione in cui non solo i giocatori hanno portato qualcosa alla società ma viceversa anche la società ha fatto tanto per noi. Così come il supporto dei tifosi di Vibo Valentia è stato prezioso”.
L’anno successivo sei rimasto ancora ma forse qualcosa non funzionò, ci fu anche il cambio in panchina Ricci-Santilli?
“Sì, qualche errore è stato commesso. Aver fatto quella grande stagione l’anno prima ha indotto erroneamente a pensare che fosse tutto facile nello sport. Come se prendere giocatori più forti, spendendo di più, potesse automaticamente far ottenere i risultati migliori. Invece nello sport questa esatta corrispondenza non si verifica quasi mai. Non basta avere una squadra forte sulla carta se non si crea quell’alchimia che fa scattare la scintilla giusta e quindi poi la qualità del gioco. In quell’annata sono stati presi giocatori sicuramente di maggior spessore come Lasko o il brasiliano Murilo eppure non riuscimmo ad ottenere i risultati sperati. Si aggiunga poi anche il mio infortunio ad inizio girone di ritorno che ha sicuramente contribuito al peggioramento della stagione. Penso anche al cambio in panchina: forse dopo quel primo anno così sorprendente, si erano create troppe aspettative che hanno fatto agire impulsivamente qualcuno. Quando andò via Ricci un po’ di tranquillità e sicurezza sono venute a mancare. Per capirci meglio se prima eravamo una grande famiglia, poi ogni rapporto era esclusivamente improntato a livello professionale”.
Il tuo rapporto col presidente Callipo?
“Non è facile spiegare: nel primo anno mi sono sentito suo complice anche perché ne condividevo in pieno le idee e sostenevo la sua missione a sostegno della Calabria. Nel secondo anno è venuta a mancare un po’ la figura paterna. Erano stati fatti investimenti più corposi e si pretendeva molto. Purtroppo il mio infortunio ha compromesso un po’ tutto”.
Hai avuto modo di seguire la Callipo negli ultimi anni? Che consigli ti senti di poter dare in vista dell’avvio di una nuova stagione?
“Negli ultimi anni ho visto che sono state compiute delle mosse di mercato oculate cercando di mantenere un buon rapporto qualità-prezzo. Ricordo anche che per scelta qualche anno addietro si è disputato il campionato di A2. Ho apprezzato parecchio questo modo di fare perché preferisco di gran lunga una società che decide di ridimensionarsi per qualche tempo in modo da riprogrammare con calma la risalita, evitando così brutte figure in Superlega. Apprezzo la perseveranza nonostante le difficoltà che ci sono a queste latitudini come ottenere l’appoggio di sponsor o avere la disponibilità di strutture adeguate. Non ho nulla da consigliare perché credo che la Callipo abbia fatto più di quello che ci si poteva aspettare. Anche io, come molti, ho creduto che questa realtà sportiva dopo qualche anno sarebbe scomparsa perché non era facile mantenere gli standard della massima serie. Invece è ancora lì, non molla, stringe i denti e tiene duro. Continua a far divertire i suoi tifosi, a rappresentare il Sud in giro per l’Italia, costruendo squadre che danno ancora del filo da torcere anche alle migliori. Credo che la città e tutti i calabresi debbano essere contenti di quello che è riuscito a fare il presidente Callipo”.

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