(Carlo Lisi per Corriere dello Sport) C’era una volta la pallavolo italiana maschile, che dopo l’exploit del Mondiale 1978 (medaglia d’argento) si batteva nelle posizioni di seconda fascia nel panorama internazionale. Poi all’improvviso come nelle favole il brutto anatroccolo si trasforma in un maestoso cigno. A Rio de Janeiro 30 anni fa esatti l’Italia diviene per la prima volta campione del Mondo e comincia a scrivere una storia che la pone in primo piano per oltre un decennio in cui, unico esempio nella storia dello sport di casa nostra, vince per 3 volte consecutive il titolo iridato: dopo Rio 1990 ad Atene 1994 e a Tokyo 1998. Da allora l’Italia del volley non ha più lasciato i vertici del movimento. Il sestetto tricolore non è più riuscito a primeggiare, ma a continuato ad esaltare gli appassionati, salendo sul podio cinque volte nei sei tornei olimpici disputati, ma non riuscendo a coronare il sogno più grande quello di portare a casa l’oro a cinque cerchi
Prima di Rio, gli azzurri l’emozione di salire sul gradino più alto di una manifestazione internazionale l’avevano già provata circa dodici mesi prima a Stoccolma vincendo l’Europeo. Quel successo a cui seguirono l’argento nella World Cup e la vittoria nella prima World League, bissata poche settimane dopo ai Goodwill Games di Seattle, erano già segnali importanti che facevano capire come il progetto di costruire una squadra in grado di primeggiare a livello assoluto stava funzionando.
Non molti ricordano che all’inizio degli anni ottanta la Federazione Italiana aveva iniziato un progetto tecnico di grande spessore. Era stata effettuata una attenta selezione a livello di giovanissimi realizzata da Carmelo Pittera ed i suoi collaboratori, con i talenti affidati poi alle cure del polacco, Alexander Skiba, che in campo aveva vinto Mondiali e Olimpiadi, ma soprattutto aveva mostrato di essere un maestro di tecnica. Il gruppo selezionato disputò il Mondiale di categoria in Italia, Volley ’85, raggiungendo l’argento. In quella squadra c’erano Gardini e Zorzi, Cantagalli e Tofoli, tutti ragazzi che poi trionfarono a Rio 1990. Insieme a loro altri talenti che contribuirono fortemente alla crescita della nostra massima serie che divenne certamente la più importante al mondo.
L’Italia ringiovanita raccolse poco a livello assoluto nel Mondiale 1986 e nell’Europeo seguente, ma già ai Giochi di Seul dimostrò di essere davvero in rampa di lancio pur rimanendo fuori dall’élite.
Nel 1989 arrivò sulla panchina tricolore Julio Velasco, tecnico italo-argentino nato a La Plata (una sessantina di km di Buenos Aires), che dopo aver fatto una grande esperienza come vice allenatore con il sestetto albiceleste, era arrivato in Italia e sulla panchina del club più famoso e blasonato, la Panini Modena aveva vinto 4 tricolori di seguito.
Velasco creo un gruppo coeso, dove accanto ai già citati ragazzi di Volley ’85, trovarono il loro giusto spazio talenti più maturi come Lucchetta, De Giorgi e Anastasi, o giovani fuoriclasse come Bernardi e Giani. Con loro a Rio c’erano anche il combattivo e indomabile Bracci, più Masciarelli e Martinelli.
L’Italia arrivò in Brasile non al top della condizione, sicuramente non con i favori del pronostico. Lucchetta e compagni a Brasilia nel loro girone avevano Cuba, la più temuta delle avversarie, che in una serie di amichevoli giocate a ridosso della partenza per il Sudamerica li aveva sempre battuti, tranne che nell’ultimo test a Roma.
La squadra di Velasco vinse le prime due gare con Camerun e Bulgaria, poi franò pesantemente proprio contro Cuba. L’Italia fu costretta a giocare uno spareggio con la Repubblica Ceca per entrare tra le prime otto, poi nei quarti trovò l’Argentina che aveva vinto il suo durissimo gruppo, prima di superare la grande Urss nella gara per la posizione nel tabellone. Ma nella sfida contro i sudamericani l’Italia fu quasi perfetta e volò in semifinale. Nel penultimo atto del torneo gli azzurri giocarono nel monumentale Maracanizinho con il Brasile e i suoi 16mila tifosi. Il sestetto italiano vinse 3-2 e arrivò all’atto decisivo proprio contro la temuta Cuba, ma ormai la squadra azzurra aveva trovato l’antidoto e con un appassionante 3-1 vinse il suo primo Mondiale.
Una vittoria che la mise al centro non solo della pallavolo, ma di tutto lo sport italiano, regalando popolarità e stima ai suoi campioni che ormai anche nei bar venivano seguiti e chiamati con i loro soprannomi, o “apelido” per usare un termine amato in Brasile.
Iniziava l’era dell’Italia campione del mondo, capace di vince tre titoli iridati e tanti altri trofei in 3 latitudini diverse.
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